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domenica 7 maggio 2017

Capocollo calabrese e Burtleina piacentina… ottimo connubio!

 Qualche tempo fa ho trovato ad una fiera di prodotti tipici un produttore calabrese di salumi, il Salumificio Sapori d'Italia di S.Agata d'Esaro (CS).
Ci ha fatto assaggiare diversi salumi e la loro nduja tradizionale, ma l'insaccato che più ci ha colpito è stato il capocollo.
Da segnalare che questo salumificio non utilizza conservanti quali nitrati o zuccheri e questa è una qualità sempre più difficile da trovare.
Non abbiamo resistito ed abbiamo acquistato un buon pezzo di capocollo.

Ma esattamente cosa è il capocollo?
Il Capocollo, comunemente chiamato Coppa, è un particolare insaccato che si ottiene dalla lavorazione della parte superiore del collo e dalla spalla del maiale. Diffuso in tutto il territorio italiano, è interpretato, regione per regione, in differenti modi.
Solo due sono però i riconoscimenti DOP per questo salume: la coppa piacentina e il Capocollo di Calabria.




La mia famiglia ha origini piacentine e fin da piccolo gli unici salumi per me degni di nota erano il salame e la coppa appunto. Sono rimasto piacevolmente stupito dalla morbidezza e dal sapore del capocollo di Calabria. Il grasso letteralmente si scioglieva in bocca senza lasciar alcun retrogusto, merito, ovviamente, del salumificio ma anche di un disciplinare alquanto rigido che, fortunatamente, contempla pochi ma naturali ingredienti.

Secondo il Disciplinare i maiali usati per la produzione del Capocollo di Calabria DOP devono essere nati in territorio calabrese o nelle regioni limitrofe (Sicilia, Basilicata, Puglia e Campania). Anche se nati oltre i confini della regione, i maiali devono comunque essere allevati in Calabria dall’età massima di quattro mesi e devono poi essere macellati e lavorati nella stessa regione.
I mangimi per l’alimentazione dei suini debbono essere mangimi composti integrati di orzo, favino, mais, ghiande, ceci, in misura non inferiore al 50% del contenuto.
Non è consentito l’uso nell’alimentazione di manioca e patate e di sottoprodotti che potrebbero conferire alle carni ed al grasso sapori ed odori indesiderati.
Il taglio della carne deve presentare uno strato di grasso di circa 3-4 millimetri, che servirà a migliorare la qualità nella stagionatura e le caratteristiche organolettiche. I pezzi di carne vengono salati con sale da cucina (operazione che può durare da 4 ad 8 giorni).
In seguito si lavano e si massaggiano con aceto di vino, aggiungendo pepe nero.
Come indicato dal Consorzio Salumi di Calabria DOP, il prodotto viene a questo punto avvolto nel budello di suino. Dopo aver sottoposto il capocollo ad un'energica legatura, il budello viene forato e poi appeso per la stagionatura in locali ventilati per almeno 100 giorni.

Esistono varianti regionali di questo insaccato, ma, ovviamente, le caratteristiche organolettiche e di sapore sono differenti. In Puglia, ad esempio, si usa dapprima ricoprirlo di sale, dove resta per circa due settimane, poi lavarlo con una mistura di vino cotto e spezie. Insaccato nel budello di maiale, dopo un po' di riposo subisce una lieve affumicatura, prima di iniziare la stagionatura che arriva ai tre mesi. In Umbria lo si aromatizza con pepe, aglio, coriandolo e semi di finocchio; quindi, dopo l'insaccamento, inizia una stagionatura che può variare dai quattro mesi a un anno. In Basilicata invece si usa cospargere il capocollo di peperoncino tritato, dopo averlo insaporito con sale e pepe; la stagionatura in passato avveniva avvolgendo la carne con tela grezza.

Da buoni piacentini abbiamo pensato di abbinare questo salume ad una ricetta che tipicamente viene mangiata con accompagnamento di coppa piacentina: la burtleina.

La burtleina (o bortellina in una pseudo traduzione italiana) è una sottile frittellina salata molto diffusa in tutto il piacentino ed in particolare nelle feste di paese, uno street food, insomma.
La burtleina dà il meglio di sé quando è ancora calda, appena tolta dalla padella. Si gusta da sola, oppure accompagnata dai salumi piacentini DOP (vale a dire la coppa, la pancetta ed il salame) e ai formaggi morbidi, in primis gorgonzola.
Le origini della bortellina si perdono nel lontano passato, poiché, essendo realizzata con ingredienti poveri trovava facilmente posto anche sulle tavole dei meno abbienti.

BURTLEINA PIACENTINA

Dosi per circa 10 frittatine di media grandezza

400 gr farina
acqua q.b.
sale q.b.
1 cipollotto tritato (opzionale)
strutto od olio per friggere

Si prepara una pastella morbida e abbastanza liquida stemperando per bene la farina con l’acqua in una zuppiera.
Si aggiusta di sale e si lascia riposare il composto per circa mezzora.
Si possono aggiungere alla pastella alcune cipolline tagliate finemente, per dare maggior sapore al tutto.
In una padella si fa scaldare un po' d'olio (la ricetta originale prevede l'utilizzo di strutto, ma in questo modo è “lievemente più leggera”!).
Il tipo di olio è legato ai gusti personali, a me ad esempio per friggere non piace l'olio extravergine di oliva che trovo invece eccezionale a freddo, solitamente io utilizzo l'olio di arachidi. Inoltre l'olio di arachidi non dona nessun particolare sapore al piatto, come invece accade per l'olio extravergine d'oliva.
Si versa un mestolino del composto cercando di creare velocemente uno strato sottile quasi come una crepes. La pastella, infatti inizia a rapprendersi molto velocemente. Si lascia dorare un lato (circa 1 – 2 minuti) e poi si gira per far cuocere anche l'altro lato. Si passa su carta assorbente per eliminare l'olio in eccesso e si degusta calda.



La ricetta in sé appare semplicissima, in effetti la difficoltà maggiore è capire quale è la collosità ideale della pastella che non deve essere né troppo liquida né troppo densa.




L'abbinamento con il capocollo calabrese DOP è qualcosa che non può essere spiegato a parole … deve essere degustato!

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