Qualche tempo fa ho trovato ad una fiera di prodotti tipici un
produttore calabrese di salumi, il Salumificio Sapori d'Italia di
S.Agata d'Esaro (CS).
Ci ha fatto assaggiare diversi salumi e la loro nduja tradizionale,
ma l'insaccato che più ci ha colpito è stato il capocollo.
Da segnalare che questo salumificio non utilizza conservanti quali
nitrati o zuccheri e questa è una qualità sempre più difficile
da trovare.
Non abbiamo resistito ed abbiamo acquistato un buon pezzo di
capocollo.
Ma esattamente cosa è il capocollo?
Il Capocollo, comunemente chiamato Coppa, è un particolare insaccato
che si ottiene dalla lavorazione della parte superiore del collo e
dalla spalla del maiale. Diffuso in tutto il territorio italiano, è
interpretato, regione per regione, in differenti modi.
Solo due sono però i riconoscimenti DOP per questo salume: la
coppa piacentina e il Capocollo di Calabria.
La mia famiglia ha origini piacentine e fin da piccolo gli unici
salumi per me degni di nota erano il salame e la coppa appunto. Sono
rimasto piacevolmente stupito dalla morbidezza e dal sapore del
capocollo di Calabria. Il grasso letteralmente si scioglieva in bocca
senza lasciar alcun retrogusto, merito, ovviamente, del salumificio
ma anche di un disciplinare alquanto rigido che, fortunatamente,
contempla pochi ma naturali ingredienti.
Secondo il Disciplinare i maiali usati per la produzione del
Capocollo di Calabria DOP devono essere nati in territorio calabrese
o nelle regioni limitrofe (Sicilia, Basilicata, Puglia e Campania).
Anche se nati oltre i confini della regione, i maiali devono comunque
essere allevati in Calabria dall’età massima di quattro mesi e
devono poi essere macellati e lavorati nella stessa regione.
I mangimi per l’alimentazione dei suini debbono essere mangimi
composti integrati di orzo, favino, mais, ghiande, ceci, in misura
non inferiore al 50% del contenuto.
Non è consentito l’uso nell’alimentazione di manioca e patate e
di sottoprodotti che potrebbero conferire alle carni ed al grasso
sapori ed odori indesiderati.
Il taglio della carne deve
presentare uno strato di grasso di circa 3-4 millimetri, che servirà
a migliorare la qualità nella stagionatura e le caratteristiche
organolettiche. I pezzi di carne vengono salati con sale da cucina
(operazione che può durare da 4 ad 8 giorni).
In seguito si lavano e si massaggiano con aceto di vino, aggiungendo
pepe nero.
Come indicato dal Consorzio Salumi
di Calabria DOP, il prodotto viene a questo punto avvolto nel budello
di suino. Dopo aver sottoposto il capocollo ad un'energica legatura,
il budello viene forato e poi appeso per la stagionatura in locali
ventilati per almeno 100 giorni.
Esistono varianti regionali di questo insaccato, ma, ovviamente, le
caratteristiche organolettiche e di sapore sono differenti. In
Puglia, ad esempio, si usa dapprima ricoprirlo di sale, dove resta
per circa due settimane, poi lavarlo con una mistura di vino cotto e
spezie. Insaccato nel budello di maiale, dopo un po' di riposo
subisce una lieve affumicatura, prima di iniziare la stagionatura che
arriva ai tre mesi. In Umbria lo si aromatizza con pepe, aglio,
coriandolo e semi di finocchio; quindi, dopo l'insaccamento, inizia
una stagionatura che può variare dai quattro mesi a un anno. In
Basilicata invece si usa cospargere il capocollo di peperoncino
tritato, dopo averlo insaporito con sale e pepe; la stagionatura in
passato avveniva avvolgendo la carne con tela grezza.
Da buoni piacentini abbiamo pensato di abbinare questo salume ad una
ricetta che tipicamente viene mangiata con accompagnamento di coppa
piacentina: la burtleina.
La burtleina (o
bortellina in una pseudo
traduzione italiana) è una sottile frittellina salata molto diffusa
in tutto il piacentino ed in particolare nelle feste di paese, uno
street food,
insomma.
La burtleina dà il meglio di sé
quando è ancora calda, appena tolta dalla padella. Si gusta da sola,
oppure accompagnata dai salumi piacentini DOP (vale a dire la coppa,
la pancetta ed il salame) e ai formaggi morbidi, in
primis gorgonzola.
Le origini della bortellina si perdono nel lontano passato, poiché,
essendo realizzata con ingredienti poveri trovava facilmente posto
anche sulle tavole dei meno abbienti.
BURTLEINA PIACENTINA
Dosi per circa 10 frittatine di media grandezza
400 gr farina
acqua q.b.
sale q.b.
1 cipollotto tritato (opzionale)
strutto od olio per friggere
Si prepara una pastella morbida e abbastanza liquida stemperando per
bene la farina con l’acqua in una zuppiera.
Si aggiusta di sale e si lascia riposare il composto per circa
mezzora.
Si possono aggiungere alla pastella alcune cipolline tagliate
finemente, per dare maggior sapore al tutto.
In una padella si fa scaldare un po' d'olio (la ricetta originale
prevede l'utilizzo di strutto, ma in questo modo è “lievemente più
leggera”!).
Il tipo di olio è legato ai gusti personali, a me ad esempio per
friggere non piace l'olio extravergine di oliva che trovo invece
eccezionale a freddo, solitamente io utilizzo l'olio di arachidi.
Inoltre l'olio di arachidi non dona nessun particolare sapore al
piatto, come invece accade per l'olio extravergine d'oliva.
Si versa un mestolino del composto cercando di creare velocemente uno
strato sottile quasi come una crepes. La pastella, infatti inizia a
rapprendersi molto velocemente. Si lascia dorare un lato (circa 1 –
2 minuti) e poi si gira per far cuocere anche l'altro lato. Si passa
su carta assorbente per eliminare l'olio in eccesso e si degusta
calda.
La ricetta in sé appare semplicissima, in effetti la difficoltà
maggiore è capire quale è la collosità ideale della pastella che
non deve essere né troppo liquida né troppo densa.
L'abbinamento con il capocollo calabrese DOP è qualcosa che non può
essere spiegato a parole … deve essere degustato!
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