Libro candidato finalista al premio Strega 2017, La stanza
profonda narra le trasformazioni sociali e culturali della
provincia italiana degli ultimi vent'anni.
In estrema sintesi, il protagonista torna nella sua casa d'infanzia,
una villetta nella campagna toscana, e riscoprendo “la stanza
profonda”, cioè la tavernetta accanto al garage dove assieme ai
suoi amici giocava ai giochi di ruolo, si trova a ricordare e
riflettere sui momenti della sua adolescenza e giovinezza.
La lezione del libro è profondamente amara, poiché, alla fine il
protagonista constata le enormi differenze e divisioni che si sono
aperte nel tessuto sociale e fra gli amici di un tempo. Se per loro
la fuga dalla realtà era solamente ritrovarsi assieme e utilizzare
la propria fantasia per creare mondi, oggi queste evasioni sono
solitarie e virtuali e, talvolta, molto più pericolose.
La stanza profonda del titolo è uno spazio, non solo fisico, ma
anche metafisico, che tiene uniti gli amici e trattiene la loro
giovinezza, quasi come si se si trattasse di una dimensione senza
tempo; una volta smessi per sempre i panni dei giocatori di ruolo,
tutti si accorgono dei vent'anni trascorsi e quasi si scoprono
estranei gli uni agli altri.
Sebbene sia un libro molto convincente dal punto di vista narrativo,
credo che non sia fruibile da tutti i lettori.
La stanza profonda “parla” soprattutto alla generazione di chi è
nato tra la metà degli anni Settanta e gli anni Novanta ed in
particolar modo a chi, almeno una volta nella sua giovinezza, ha
provato a giocare a giochi di ruolo.
Incomprensibili, altrimenti, risultano le espressioni tipo “dado
d20”, “incantesimo di protezione”, “librogame”, “master”.
Nel libro, infatti, vengono citati diversi cartoni, giocattoli e
videogame che hanno caratterizzato le estati della mia infanzia e
giovinezza.
Per chi non ha avuto 13 - 15 anni negli anni Novanta è difficile
comprendere la novità che ha rappresentato per noi il fatto di
passare ore con la fantasia, una matita ed un paio di dadi negli
universi paralleli dei librigame, riuscendo a decidere davvero “la
nostra avventura”.
Ve ne erano di diverse serie, con ambientazioni che spaziavano da
lande desolate a mondi fantascientifici, anche se la maggior parte
descrivevano un medioevo popolato da mostri, maghi ed elfi.
In quel periodo, inoltre, uscirono anche diversi giochi da tavolo
ispirati, più o meno, ai mondi fantasy descritti da Tolkien nei suoi
libri. Ricordo in particolare HeroQuest, che mi fu regalato per un
Natale e che tutt'oggi conservo (completo di tutti i pezzi!). Era semplicemente un tabellone con disegnate alcune stanze ( appartenenti ad un imprecisato sotterraneo) che potevano essere arredate dal Master con vari elementi (ad esempio armature, tavoli etc..) ed in cui i protagonisti del gioco dovevano compiere delle missioni, ovviamente ostacolati dal Master e dal suo esercito di Goblin, Orchi e Non-morti.
Insomma, una versione semplificata di Dungeons & Dragons.
Insomma, una versione semplificata di Dungeons & Dragons.
Poi iniziarono i videogame che diventarono via via sempre più simili alla
realtà. Ora si può davvero partecipare alle diverse avventure di
barbari, maghi ed elfi, senza neanche compiere troppi sforzi
d'immaginazione, eppure nulla potrà soppiantare l'ingenuo incanto
che ci procuravano quei fogli e quei dadi.