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mercoledì 28 giugno 2017

La tradizione dei fuochi del Sacro Cuore in Alto Adige

In Alto Adige la sera della prima domenica dopo il Corpus Domini è ancora viva la tradizione di accendere sulle pendici delle montagne dei fuochi che, visti dalla valle, tracciano disegni di simboli cristiani (spesso il Sacro Cuore di Gesù, cioè un cuore sormontato da una croce ).




Tale usanza si perde nella notte dei tempi.
In epoca pagana, infatti, venivano accesi proprio in coincidenza del solstizio d'estate sia per onorare il dio Sole che era la fonte di sostentamento delle culture rurali, sia per scacciare i demoni e gli spiriti cattivi.
Con l'avvento della cristianizzazione tali fuochi vennero dedicati a San Giovanni (celebrato il 24 giugno).
Ma è verso la seconda metà del Settecento che quest'usanza assunse il nome di Fuochi del Sacro Cuore.
Il Tirolo, infatti, in quel periodo, venne consacrato al culto del Sacro Cuore di Gesù. Il Land era, a detta degli abitanti, in pericolo. Le armate napoleoniche stavano dilagando in tutta l'odierna Italia settentrionale e l'esercito asburgico era l'unico che ancora riusciva ad arginare tale avanzata. Ciò che impauriva i tirolesi, oltre alle conseguenze sul piano militare, era la diffusione delle idee libertarie francesi che minacciavano la tradizione e l'integrità non solo politica ma soprattutto culturale del Land (in una parola, intraducibile nella lingua italiana, l' Heimat[1]).

La Dieta tirolese, allora, elesse un comitato di 26 uomini che si riunì a Bolzano a Palazzo Toggenburg dal 30 maggio al 1 giugno 1796. L'abate dell'abbazia di Stams, Sebastian Stöckl, fece la proposta di porre il Tirolo ed il suo popolo sotto la protezione del Sacro Cuore di Gesù e di prestagli voto con giuramento solenne.

L'abate Sebastian Stöckl, dell'abbazia di Stams, promotore del voto al Sacro Cuore


Il 3 giugno dello stesso anno il voto fu pronunciato solennemente davanti al quadro del Sacro Cuore del Duomo di Bolzano, tutt'oggi visibile nella cappella sacramentale.

Bolzano, Duomo. Il quadro del Sacro Cuore


Il 5 settembre le armate napoleoniche entrarono a Trento. Ormai anche la città di Bolzano sembrava condannata ad essere conquistata ma, inspiegabilmente, l'esercito francese non cercò di raggiungere Vienna risalendo la via dell'Adige ma deviò ad est e passò dall'odierno Friuli. Il Tirolo fu così risparmiato.

Bressanone, Chiesa delle Dame. Il quadro di Joseph Mühlmann (1840 ca.). Il voto al Sacro Cuore

Passarono circa una decina d'anni e nel 1805 il Tirolo venne annesso alla Baviera, alleata della Francia. Vi furono diverse conseguenze oltre che sul piano politico, anche sul piano religioso: molti conventi vennero chiusi (per incamerare le ricchezze della Chiesa) e venne proibita la celebrazione del Sacro Cuore. Vi fu, quindi, la celebre insurrezione popolare guidata da Andreas Hofer che il 24 maggio 1809 rinnova il patto con il Sacro Cuore. Anche questa volta i tirolesi riescono a sconfiggere i francesi dopo cinque giorni di scontri. Il 6 giugno è proclamata solennemente la festa del Sacro Cuore in tutto il Land.
La devozione al Sacro Cuore è assurta a pegno di libertà ed indipendenza del Tirolo.

Comincia così la serie delle Bundeserneuerungen, cioè dei rinnovi del patto del Sacro Cuore.

Le connessioni politiche o ideologiche, tendenti alla mobilitazione generale dei tirolesi contro il “nemico” interno e no, sono abbastanza evidenti in più di uno dei successivi contesti.

Il patto, infatti, fu rinnovato nel 1816, con il ritorno degli Asburgo, nel 1848, in corrispondenza delle insurrezioni liberali, nel 1859 in concomitanza con la seconda guerra di indipendenza italiana e poi nel 1861 per rafforzare la mobilitazione contro la legge promulgata dall'Imperatore Francesco Giuseppe che concedeva la libertà di culto ai protestanti.
Anche nel 1866, nel 1870 e nel 1876, contro il pericolo del liberismo e del protestantesimo, ci furono dei rinnovi.
Il giuramento venne ripetuto nel 1896, in occasione dei cent'anni di istituzione del patto, nel 1909, in occasione della commemorazione dell'insurrezione di Andreas Hofer.
Il rinnovo successivo è all'inizio della prima guerra mondiale nel 1914, poi nel 1944, in piena seconda guerra mondiale ed infine nel 1946.

La devozione al Sacro Cuore da parte del Land Tirolo ha rappresentato per oltre 100 anni fino alla fine della I° Guerra Mondiale un simbolo forte di unità territoriale, politica, religiosa e di identità sociale e culturale.


[1] Heimat indica non solo il luogo in cui si è nati, ma quell'insieme di tradizioni, cultura, paesaggi, dialetto che ci appartengono fin dall'infanzia e ci fanno sentire a casa (la parola contiene, infatti la radice heim- “casa” intesa cioè il luogo degli affetti).


lunedì 19 giugno 2017

Ancora acciughe! Acciughe al profumo di limone su burrata pugliese, con insalatina mediterranea e cuculli

Eh sì! Propongo ancora un piatto a base di acciughe. L'ho cucinato per una cena basata per la maggior parte su questo pesce. Lo trovo molto versatile e facile da preparare.

Ovviamente la conditio sine qua non del successo del piatto è avere ingredienti freschissimi.

La burrata l'ho acquistata in un caseificio di Genova. I proprietari sono di origini pugliesi ma lavorano in loco il latte di produzione locale secondo le ricette della tradizione.
Insomma lì è davvero possibile trovare prodotti caseari tipici con la garanzia della freschezza quotidiana quasi come se si fosse in Puglia!

Per le acciughe valgono le considerazioni del mio post precedente (marzo 2017) e non starò a tediarvi oltre.

Tutto il resto è stato preparato in casa.

La complessità maggiore sono stati i cuculli la cui pasta deve essere preparata almeno 2 – 3 h prima. Io l'ho preparata il giorno prima e l'ho conservata in frigorifero ( ma questa è solo una mia esagerazione! )

Devo spendere due sole parole su cosa siano in cuculli.
A Genova è uno dei più famosi cibo da strada. Sono delle palline di farina fitte in olio e consumate caldissime perché quando si raffreddano diventano subito gommose. Vi sono varie varianti. I cuculli veri e propri sono impastati con farina di ceci, mentre quelli con farina di grano vengono chiamati Friscieu. I Friscieu hanno però al loro interno un quantitativo maggiore di erbette o erbe aromatiche. Io ne ho cucinato una mia versione che sta a metà strada tra le due varianti, di conseguenza ho preferito chiamarli cuculli anche se non filologicamente corretto.

Ed ora andiamo a presentare il piatto.

744 Km

Ho chiamato questo piatto 744 Km perché è la distanza in linea d'aria tra Genova e Bari. Poichè il mio piatto unisce prodotti e sapori tipici di queste due regioni mi è parso naturale denominarlo così.

Dosi per 4 persone

Per le acciughe su burrata
1 burrata
8 – 12 acciughe
1 limone biologico
sale q.b.

Per l'insalatina mediterranea
1 mazzetto di insalatina giovane
8 olive taggiasche in salamoia
2 pomodorini essiccati
sale se necessario

Per i cuculli
200 gr di farina 0
sale q.b.
acqua q.b.
5 gr lievito di birra
olio per friggere

Preparare la pastella per i cuculli sciogliendo la farina ed il sale con acqua fino ad ottenere una pastella morbida e abbastanza fluida. Sciogliervi il lievito di birra. Lasciare riposare almeno 2 – 3 h.
Trascorso tale tempo versare poco per volta con un cucchiaio la pastella in olio extravergine bollente.
Far dorare per circa 1 minuto e scolare su carta da cucina per fa scolare l'olio in eccesso.

Pulire le acciughe privandole della testa, delle interiora e della lisca. Lavarle in acqua corrente e aprirle a libro. Spremere il succo di mezzo limone in una padella antiaderente. Adagiarvi le acciughe e far cuocere per circa 5 minuti ( la carne diventerà bianca senza sfaldarsi).

Comporre il piatto mettendo in un angolo un po' di burrata con una spolverata di sale, adagiarvi sopra 2 – 3 filetti di alici. Se il limone è biologico si può tagliare a striscioline sottili la buccia e usarla per guarnire le alici.
Al centro predisporre l'insalatina mediterranea tagliando a fili sottili l'insalata ed i pomodorini essiccati. Unire le olive. Solitamente non è necessario salare poiché i pomodorini sono già alquanto sapidi.
In un altro angolo disporre 3 cuculli con una spolverata di sale.


Sì, è un antipasto 😆... per ottenere un secondo, ovviamente, aumentare le dosi!



lunedì 12 giugno 2017

Cozze dal Regno Borbonico al Regno di Sardegna

“...acciughe, boghe, muscoli nostrani di Spezia, arselle. Gianchetti belli!!! …”

Così, alla fine della canzone Crêuza de mä di Fabrizio De Andrè, risuonano le grida dei venditori del mercato ittico di Genova, anzi per l'esattezza, come ricorda lo stesso autore nei ringraziamenti sulla copertina dell'album, “ i lavoratori del mercato del pesce di piazza Cavour di Genova”.
In Liguria ed a Genova in particolare è semplicissimo trovare cozze freschissime degli allevamenti di La Spezia. Sono animali di dimensioni inferiori rispetto a quelli di provenienza estera, ma sono immensamente più saporiti e non hanno alcun retrogusto eccezion fatta per un ottimo profumo di mare.

Oggi ho provato a cucinarli in una versione più meridionale, anche perché questo molluschi vennero portati in Liguria da pescatori tarantini, emigrati nella regione durante la seconda metà del XIX Secolo.

Questa è una ricetta nel complesso abbastanza semplice da preparare ma con un risultato finale assolutamente fantastico.
Il piatto risulta molto piacevole al palato e soprattutto ricorda davvero i profumi dell'Italia meridionale.

Cozze alla siciliana

Ingredienti per 4 persone

1 Kg di cozze fresche
7- 8 pomodorini Pachino
15 – 20 capperi piccoli sotto sale
2 pomodorini secchi
Pan grattato
1 mazzetto di prezzemolo
mezzo bicchiere vino bianco secco
3 spicchi aglio
Olio extravergine d'oliva
Sale
Pepe
Origano

Pulire le cozze lavandole prima sotto acqua corrente e poi eliminando tutte le incrostazioni e il filamento proveniente dall'interno. Solitamente, prima di compiere quest'operazione, io le lascio per almeno 20 – 30 minuti in acqua fresca con aggiunta di sale per essere sicuro di avere una buona pulizia del mollusco.
Far aprire le cozze in una pentola con poca acqua. Lasciarle a fuoco vivo incoperchiate per alcuni minuti fino a quando non si saranno aperte tutte (o perlomeno la maggior parte di esse).
Togliere le cozze dalla pentola, eliminando quelle che non si sono aperte, filtrare il liquido di cottura e conservarlo. Separare le valve, scartando quella vuota.
Nel frattempo lavare i pomodorini e tagliarli a metà. Metterli in una ciotola con olio extravergine d'oliva, 2 spicchi d'aglio e prezzemolo tritati finemente, i capperi lavati dal sale, i pomodorini secchi tagliati grossolanamente e pochissimo sale. Coprire con una pellicola trasparente e lasciare marinare per almeno 30 – 40 minuti.
Tostare in un tegamino antiaderente una manciata di pan grattato e lasciarlo raffreddare. Trascorso il tempo della marinatura, far dorare uno spicchio d'aglio in una padella antiaderente, aggiungervi i pomodorini marinati ed il loro succo e far cuocere a fuoco basso per circa 10 minuti. Aggiungere un po' dell'acqua di cottura delle cozze e lasciare evaporare in parte.
Mettere le cozze in una pirofila e riempirle con la salsa ottenuta; spolverare con il pangrattato tostato e il pepe macinato fresco.

Porre in forno preriscaldato a 180° per circa 5 minuti. Spruzzare sulle cozze mezzo bicchiere di vino bianco secco, spolverare con origano e far gratinare per altri 2 – 3 minuti. 
Prima di servire in tavola decorare con un trito fine di prezzemolo fresco.


giovedì 8 giugno 2017

La Madonna che allatta: rappresentazioni iconografiche ante Concilio di Trento

A Genova, tra i vicoli, c'è una chiesa davvero molto interessante: la chiesa di San Donato.
Oltre all'esterno con il campanile ottagonale e al suo interno in stile romanico puro, vi sono conservati alcuni gioielli artistici che meritano di essere conosciuti.



Nella chiesa si trova, infatti, un dipinto ad opera di Barnaba da Modena intitolato “Madonna che allatta”.

Barnaba Agocchiari, detto Barnaba da Modena (Modena, 1328 circa – 1386 circa), è stato un pittore italiano.
Egli fu attivo soprattutto in Liguria, in Piemonte e a Pisa a metà del XIV secolo.
Barnaba venne citato per una sua opera già nel 1361 a Genova e tre anni dopo fu impegnato negli affreschi della cappella del Palazzo Ducale, mentre nel 1370 produsse un'ancona per la Loggia dei Mercanti e la Crocifissione che ora è conservata presso il Museo civico Amedeo Lia di La Spezia.
Dopo un periodo di soggiorno piemontese, il pittore venne invitato a Pisa dalla Fabbrica del Duomo per la decorazione del Camposanto. Nella città toscana sono rimaste due Madonne di Barnaba.
A Genova, presso la chiesa di S. Agostino, inoltre, è visibile il suo Giudizio finale.
Il suo gusto pittorico, partendo dalla vivace scuola emiliana, subì influenze di tipo bizantineggiante e qualche spunto gotico che avvicinarono l'artista alla scuola senese.

La particolarità del dipinto conservato in San Donato, non risiede tanto nell'artista in sé, quanto nella tematica stessa.



La Madonna del Latte (Madonna lactans o Virgo Lactans), è un'iconografia paleo – cristiana.
La Vergine è rappresentata a seno scoperto, colta nell'atto di allattare il figlio.
L'iconografia è risalente all'Antico Egitto, epoca in cui erano diffusissime le immagini della dea Iside intenta ad allattare il figlio Horus e il cui culto durerà ancora a lungo intrecciandosi con il Cristianesimo. Addirittura molte statue di Iside furono ribattezzate o venerate come Madonne originali.
Dall'Egitto copto ebbero poi ampia diffusione presso le chiese orientali nell'arte bizantina, con nome greco di Galaktotrophousa, e, nei secoli successivi, anche nell'Occidente.
Tale tipologia di Madonne del Latte divenne molto popolare nella scuola pittorica toscana e nel Nord Europa a partire dal Trecento.
Dal XII secolo l’Europa,infatti, fu invasa da un’ondata di devozione verso la Madonna. Tanti monasteri furono posti sotto la protezione di Maria, e tante chiese vennero a Lei consacrate. La Vergine cominciò a campeggiare in ogni ambiente della Chiesa, dalla facciata esterna all’abside, per evidenziare soprattutto i toni della tenerezza materna
Pero, il Concilio di Trento, iniziato nel 1543, con il decreto: "De invocatione, veneratione, et reliquiis sanctorum et sacris imaginibus" definì la posizione della Chiesa riguardo alle iconografie devozionali.

Tra gli scopi di questo decreto vi era il voler evitare immagini di natura sensuale o percepite come tali dalla morale dell'epoca. La Riforma cattolica tridentina annoverò tra queste immagini sconvenienti, che si riteneva potessero fuorviare il fedele, le rappresentazioni di Maria a seno scoperto poiché accusate di distogliere i fedeli dalla preghiera.
Fu demandato ai vescovi il compito di valutare le varie rappresentazioni e di decidere se queste dovessero essere ritoccate, oppure rimosse. In molti casi si decise di coprire tali immagini con ritocchi.

Mentre l'iconografia della "Madonna del Latte" decadeva, per contro la venerazione popolare delle antiche immagini continuò, legata, soprattutto al desiderio di maternità delle fedeli.
L'atto del nutrimento di Gesù, infatti, rappresenta sia la vera maternità di Maria che la vera natura umana del Cristo.

Fortunatamente, ancora oggi i santini ed i dipinti conservati nelle chiese ci permettono di ricostruire questa storia di censura e di devozione popolare.



Molto particolare la coincidenza che nella stessa chiesa sia venerata sia la “Madonna che allatta” sia “Nostra Signora della Terza età”… m questa è tutta un'altra storia



lunedì 5 giugno 2017

Puntarelle in insalata alla laziale

Le puntarelle (germogli della cicoria asparago) si contraddistinguono per un caratteristico e gradevole sapore amarognolo che le differenzia notevolmente da altre verdure a foglia, come ad esempio la lattuga.
È un ortaggio composto prevalentemente d’acqua, quindi dal bassissimo contenuto calorico, ma ricco di vitamine e sali minerali.

Le vitamine principali delle puntarelle sono quelle appartenenti ai gruppi A, B e C. Ovviamente, le vitamine si conservano solo se consumate crude.
Quest’ortaggio inoltre possiede proprietà purificanti e disintossicanti per l’organismo. Le sostanze amare che contiene aiutano la digestione e stimolano la circolazione sanguigna, favorendo l’eliminazione dei grassi dall’intestino.
Per questi motivi, quindi, è preferibile consumare questa verdura cruda ad insalata, i teneri germogli in particolare.



Le puntarelle vengono consumate in gran quantità a Roma nei periodo primaverili.
Ho provato a cimentarmi anche io con questa semplicissima ricetta che però riscuote un notevole successo in tavola. L'abbinamento con le acciughe salata, infatti, è il connubio perfetto. Inoltre la croccantezza e la sapidità amarognola dell'ortaggio rendono questo piatto un contorno facilmente abbinabile ad una miriade di secondi anche molto importanti.
L'unica difficoltà della ricetta è la loro pulitura e preparazione.

Come pulire le puntarelle

Separare le foglie più dure ed esterne (si possono conservare per cucinarle stufate in padella) dai germogli più teneri e croccanti, le puntarelle appunto.
Lavare bene sotto acqua corrente. Tagliare la base delle puntarelle e poi tagliarle per il lungo prima a metà e poi di nuovo a metà.
Porre le striscioline così ottenute in un recipiente con acqua ghiacciata per almeno 1 ora (si può anche riporre la ciotola in frigorifero).
Questa operazione serve a renderle più dolci e a farle arricciare.

Insalata di puntarelle crude alla laziale

1 cespo di cicoria asparago
2 – 3 acciughe sotto sale
aglio
olio extravergine d'oliva

Preparare le puntarelle come descritto sopra.
Scolarle e asciugarle con un canovaccio pulito.
Dissalare e disliscare le acciughe sotto sale. In un tegamino antiaderente far dorare uno spicchio d'aglio tagliato molto finemente in abbondante olio extravergine d'oliva. Aggiungere i filetti di acciuga e mescolare fino a quando non si saranno sciolti.
Utilizzare la salsa così ottenuta per condire le puntarelle.



La ricetta originale prevede l'uso della salsa a freddo (con aggiunta anche di aceto o di limone), ma io preferisco lasciare il più possibile il sapore amargnolo delle puntarelle.


venerdì 2 giugno 2017

Gli èclair: “du gust is megl che uan”

Un éclair è un lungo e sottile pasticcino di origine francese fatto con pasta choux, solitamente riempito di crema.

La pasticceria a base di pasta choux nacque durante il rinascimento in Francia e in Italia alla corte dei Medici, tuttavia fu il grande chef francese Marie-Antoine Carême (1784-1833) a sviluppare la produzione di questo tipo di pasticceria, ed è probabilmente a lui che si deve la ricetta dell'éclair.
Fu tuttavia a partire dagli anni 70 dell'Ottocento che in Francia si diffuse la moda di accompagnare il thè all'anglaise con questi piccoli pasticcini.

Oggi ho provato a riempir i pasticcini sia con crema dolce che con una mousse salata.
Questo tipo di pasta, infatti, può essere gustata nelle due versioni, dal momento che non è troppo dolce ed ha un sapore abbastanza neutro.



Ricetta base èclair

Per circa 15 – 20 èclair

200 gr acqua
100 gr burro
1 cucchiaino di zucchero
½ cucchiaino di sale
100 gr farina
3 uova

Portare ad ebollizione il burro con l'acqua, lo zucchero e il sale. Togliere dal fuoco, versare la farina setacciata e mescolare. Far cuocere il roux per circa 2 minuti, fino a quando non si staccherà dalle pareti del tegame. Far intiepidire in una ciotola e incorporare uno alla volta le uova. Prima di unire l'uovo successivo assicurarsi che il precedente sia stato completamente assorbito.
Raccogliere la pasta choux in una sacca da pasticciere e formare dei bastoncini di circa 12 cm di lunghezza. Far cuocere in forno statico a 180° per circa 30 minuti.



Eclair con crema di piselli, caprino e capperi

300 gr piselli freschi
150 gr caprino
2 cucchiai di capperi sotto sale
4 – 5 pomodorini secchi

Sbollentare i piselli in acqua per pochi minuti, scolarli e raffreddarli sotto l'acqua fredda. Metter i piselli nel mixer, unire i capperi dissalati e il caprino. Ridurre tutto ad una crema omogenea.
Farcire gli èclair con il composto così ottenuto (oppure spalmarlo sopra, dipende dai gusti). Decorare con delle striscioline sottili di pomodorini secchi.



Eclair con crema di mascarpone, cocco e frutta fresca

250 gr mascarpone
30 gr cocco grattugiato
1 uovo
3 cucchiaini di zucchero
1 pesca
3 – 4 albicocche

Mescolare il mascarpone, il cocco grattugiato e lo zucchero. Unire l'uovo intero e continuare a mescolare fino ad ottenere una crema omogenea. Fra riposare la crema in frigorifero per almeno mezz'ora. Spalmare con la crema la parte superiore degli èclair e decorare con fettine di albicocche e pesche, alternandole tra loro.